Là, dove il bosco cede il passo alle praterie d’alta quota. Dove qualche sparuto Pino mugo punteggia prati altrimenti spogli, eppure verdissimi, sottratti per pochi mesi l’anno alla copertura candida del manto nevoso. Oppure più in basso, dove prati e pascoli hanno offerto per secoli, agli abitanti delle vallate alpine, un supporto prezioso per l’allevamento del bestiame.
Secoli di equilibrio tra uomo e natura, in parte compromesso dal boom economico, quando all’allevamento si è sostituito il turismo di massa, quando le praterie sono state puntellate di baite, rifugi, funivie e altre infrastrutture per accogliere gli sciatori. Un ambiente prima ideale per il completamento del ciclo riproduttivo di diverse specie di uccelli che si è fatto via via inospitale, portando il disturbo da parte dell’uomo, armato di fuoristrada, elicotteri e motoslitte, anche alle quote più elevate.

Lo stesso abbandono della pastorizia tradizionale – concentrando in valle i pochi allevamenti rimasti – ha portato a un progressivo recupero del bosco, a svantaggio della prateria e del pascolo, con effetti nefasti su tutte quelle specie le cui esigenze ecologiche contrastano con un eccessiva copertura forestale. Anche i pascoli residui, per la verità, non rappresentano più ambienti “sicuri”: qui, lo sfalcio meccanizzato unito all’utilizzo di fertilizzanti, causa spesso la distruzione dei nidi e aumenta la mortalità dei pulcini.
Infine la maggiore accessibilità, conseguente alla costruzione di strade e altre infrastrutture. Con l’effetto non solo di una maggiore accessibilità da parte dei turisti, che si dimostrano non sempre rispettosi dell’ambiente circostante. Anche cacciatori e bracconieri da qualche decennio possono raggiungere molto più facilmente le aree più remote della catena alpina, con conseguenze spesso devastanti su popolazioni già ridotte ai minimi termini.
Gipeto.
“Avvoltoio barbuto”: questo il nome comune del Gipeto, un grande avvoltoio caratterizzato da un folto ciuffo di piume bianche sul volto, in netto contrasto con il resto del piumaggio, tendenzialmente scuro. Un uccello sedentario, che si avventura in spostamenti ripetuti solo durante la giovinezza, per poi stabilirsi in una determinata area e restarvi per tutto il resto della vita.
In Europa, il Gipeto è presente soprattutto nei Pirenei e nella Spagna centrale, in Corsica e – piuttosto raro – in alcune aree balcaniche. L’Italia ospita poche coppie nidificanti sulle Alpi centro-occidentali, tra Trentino e Lombardia, frutto di un recente progetto di reintroduzione. Anticamente buon predatore, il Gipeto è attualmente un uccello tendenzialmente – o quasi esclusivamente – necrofago.
Dalla lunghezza superiore al metro – la sola coda supera i 40 cm – e un’apertura alare che può sfiorare i 3 m negli esemplari adulti più grandi, il Gipeto non muta il proprio aspetto al variare delle stagioni, né è agevole distinguere i sessi sulla base del solo piumaggio, tendenzialmente grigio-scuro. Utile, in questo caso, approfondire l’origine latina del nome, gyps , che significa avvoltoio, e aetos , aquila, ad indicare la somiglianza di questo uccello più a un Corvo imperiale o a un grande falcone piuttosto che a un avvoltoio in senso stretto.
Amante delle regioni impervie, il Gipeto adora frequentare ambienti inospitali quali pareti rocciose e aspri valloni, senza però lasciarsi sfuggire qualche planata sugli altipiani, dove magari trovare qualche carcassa. Resti di ungulati selvatici e/o domestici costituiscono infatti, nella pratica, l’unico “piatto” nel menu quotidiano del Gipeto, che addirittura si preoccupa di trasportare le ossa più lunghe sopra rocce appuntite, per poi lasciarle cadere, in modo che si frantumino e possano quindi essere ingoiate più facilmente.



Aquila reale.
Forse la caratteristica più importante dell’Aquila reale, tale da farne appunto il migliore emblema per le bandiere di ogni tempo, è quella della fedeltà. Insieme per la vita, maschio e femmina di Aquila reale conquistano un territorio, nel quale restano per anni, costruendo una pluralità di nidi e scegliendo di anno in anno il più adatto.
Grande cacciatrice, l’Aquila reale può sollevare prede piuttosto pesanti, anche fino a 20 kg, per lo più roditori o altri piccoli mammiferi. Al contrario di quel che si pensa, l’Aquila reale non costruisce il nido sulle vette più alte, ma attorno ai 2000 m, dove trova le migliori condizioni in termini di relativa abbondanza delle prede.
Grande rapace, l’Aquila reale può raggiungere gli 87 centimetri di lunghezza, per un’apertura alare che può sfiorare i 220 cm (la sola coda nella specie può misurare oltre 30 cm). Abbastanza uniforme il piumaggio, nelle varie sfumature del bruno e del castano. Solo il capo presenta striature dorate, un fatto che spiega l’origine latina (o meglio greca) del nome, che letteralmente si traduce “Aquila d’Oro”.
Molte le sottospecie di Aquila reale presenti in Europa. La chrysaetos è quella con l’areale più vasto, essendo presente dall’Europa Occidentale fino alla Siberia. Altre sottospecie si suddividono il globo tra Nord Africa e Asia Minore, Americhe e resto dell’Asia. In Italia è presente soprattutto sulle Alpi, con importanti aree di nidificazione lungo la fascia appenninica, Sicilia e Sardegna orientale.


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