
I ricci di mare utilizzerebbero l'intera superficie del loro corpo come dei grandi occhi: lo rivela una nuova ricerca appena pubblicata sulla rivista
Proceedings of the National Academy of Sciences.
"Diverse specie di ricci di mare presentano una gran varietà di risposte alla variazione dell'intensità della luce”, scrivono gli autori della ricerca. "Ma nonostante questa evidenza comportamentale della fotosensività, il sistema di rilevamento della luce in questi animali era finora rimasto un enigma”.
Le analisi genetiche condotte in precedenza sul riccio della specie
Strongylocentrotus purpuratus avevano rivelato che l'animale possiede un gran numero di geni collegati allo sviluppo della retina, il tessuto che rileva la luce presente all'interno dell'occhio degli esseri umani e di altri vertebrati.
Ciò ha suggerito che la visione del riccio di mare potesse basarsi su cellule recettrici della luce distribuite su tutta la superficie del loro corpo, che funzionerebbero collettivamente come una retina.

Gli studiosi già ipotizzavano che gli aculei dell'animale avessero la stessa funzione delle cellule pigmentate che bloccano la luce, presenti negli occhi della gran parte degli animali. Poiché i recettori della retina possono assorbire la luce proveniente da ogni direzione, le cellule pigmentate bloccano la luce che arriva da dietro o dai lati, consentendo all'animale di vedere davanti a sé.
Ora però il gruppo di ricerca, di cui fa parte anche la biologa italiana Maria Ina Arnone della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, ha individuato due distinti gruppi di cellule recettrici cigliate concentrate alle basi e alle punte degli oltre 1.400 pedicelli ambulacrali del riccio di mare, dei prolungamenti a forma di piccoli tubi tipici degli echinodermi che li utilizzano per spostarsi sul fondo marino.
I ricercatori, spiega Maria Ina Arnone, ritengono che i ricci utilizzino i pedicelli ambulacrali come retine e il resto del corpo come scudo contro l'eccesso di luce. "Poiché negli individui giovani non è presente fototassi [la reazione alla luce] fino al completamento dello scheletro, riteniamo che l'intero animale, utilizzando lo scheletro come uno schermo PRC, funzioni come un grande occhio composto”.
Studi precedenti avevano già rilevato come il numero e la disposizione degli aculei determinassero la chiarezza della visione, e secondo Arnone la nuova ricerca aggiunge sicuramente un elemento in più a questo quadro.
Se ti è piaciuto l'articolo , iscriviti al feed cliccando sull'immagine sottostante per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog: