I reperti geologici dimostrano che ci sono state cinque grandi estinzioni.
La più imponente di è verificata durante la transizione dal Permiano al Triassico, più o meno 250 milioni di anni fa; la seconda in ordine di importanza è quella che 65 milioni di anni fa ha spazzato via i dinosauri.
Ora gli esseri umani stanno perpetrando una “sesta estinzione”: le specie stanno scomparendo a un ritmo cento volte, forse addirittura mille volte, superiore a quello naturale. Alcune specie vengono stermiante, ma la maggior parte delle estinzioni non è un risultato intenzionale: è la conseguenza di modifiche degli habitat effettuate dall'uomo o dell'introduzione di specie non autoctone in un ecosistema.
Gregory Benford ha proposto di istituire una Biblioteca della Vita, un progetto dettato dall'urgenza di raccogliere, congelare e conservare un campione dell'intera fauna di una foresta pluviale tropicale; questa biblioteca non dovrebbe sostituirsi alle misure di tutela della biodiversità, ma fungere da polizza di assicurazione.
La balenottera dell'aletta, uccisa dall'equipaggio della balenierq Hvalur 9 a ovest dell'Islanda, catalogata nell'elenco delle specie a rischio, è il simbolo della follia umana.
Non solo le balene si stanno estinguendo, ma tutta la fauna marina.
Secondo una indagine durata 4 anni, che ha coinvolto migliaia di scienziati dei cinque continenti (i cui risultati sono stati pubblicati sui Science), entro il 2048, le specie marine che finiscono nei nostri piatti saranno collassate, ridotte ai minimi termini. Dovremo dire addio a ricci di mare, vongole, tonni, a una lunga serie di mitili che adornano i menù, ma anche a merluzzo, nasello, spigola, branzino, orata, pesce spada. L'elenco è sterminato e include pure altri pesci come gli squali.
Dal 1950 al 2003 abbiamo perduto il 65 per cento delle specie pescate all’inizio del periodo considerato. Di quelle presenti oggi, il 29% per cento è GIà «collassato», sceso a meno del 10%. «Purtroppo stiamo assistendo a una accelerata riduzione della capacità di sostentamento e riproduzione della quasi totalità delle specie marine - dice Fiorenza Micheli della Hopkins Marine Station della Stanford University - e le cause sono ormai chiare».
Eccesso di pesca, distruzione degli habitat lungo le coste, inquinamento con scarichi che avvelenano gli animali. Non c'è zona del pianeta sfuggita alla distruzione. «Intorno alla Penisola italiana le condizioni sono tra le peggiori: Adriatico, Ionio, ambienti di scoglio del Tirreno ma anche il Sud del Mediterraneo offrono dati raccapriccianti».
La pesca a strascico è uno degli interventi più dannosi perché la metà di quanto viene raccolto non serve e viene eliminato. L'annientamento di molte specie, inoltre, provoca squilibri ecologici su vaste regioni favorendo le fioriture delle alghe o la crescita abnorme, ad esempio, delle meduse. «Ma siamo ancora in tempo a intervenire», spiega la scienziata fiorentina d’origine e californiana d’adozione da quasi vent'anni, «Lo dimostrano — precisa — gli esperimenti condotti in 48 aree protette della Terra dove nel giro di qualche anno la situazione locale si è invertita e si sono ripristinate anche le aree circostanti».
I rimedi sono noti quanto le cause: riduzione del pescato con l'eliminazione delle reti o la scelta di pesci che abbiano ritmi di riproduzione più veloce, passando, ad esempio, dalle spigole ai calamari o damolluschi come la litofaga ai pettini molto diffusi in Atlantico e altrove; avviare iniziative di protezione dei fondali lungo le rive e soprattutto impedire l'immissione di sostanze chimiche e inquinanti. «È necessario anche - suggerisce la Micheli - estendere le aree protette che favoriscono l'economia locale».
Un'altra ricerca, pubblicata nel 2006, ha prodotto una dettagliata mappa dell'estinzione globale, secondo cui, le specie a rischio di mammiferi, uccelli e anfibi, non abitano le stesse aree geografiche. Contraria dunque alle precedenti teorie, la mappa mostra in definitiva come la situazione delle specie a rischio sia diversificata a seconda dei vari gruppi anche nelle stesse aree geografiche. Il Professore Ian Owens, uno degli autori della ricerca, della Divisione di Biologia dell' Imperial College London, ha detto: “Per la prima volta, questa mappa dell'estinzione globale ha diviso il pianeta in piccole aree per ottenere una dettagliata fotografia della biodiversità e delle specie a rischio”.
Quello che è emerso è che nelle aree geografiche dove è maggiore il rischio di estinzione, non tutti i grupppi sono minacciati allo stesso modo. “È importante - dice il Professore - avere compreso che la situazione è più complessa di quello che si credeva. Mammiferi uccelli e anfibi sono minacciati da diversi fattori e in differenti locazioni”.
Ad esempio: in Nuova Zelanda sono più a rischio gli uccelli a causa dell'introduzione di ratti e topi; nell'Africa orientale la minaccia riguarda in particolare i mammiferi, a causa della caccia e del commercio di carne; nella foreste tropicali sulòe montagne dell'Australia del nord, sono in declino le rane, e in questo caso ancora non si conoscono le cause precise.
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