
Sono circa 250 (per l’esattezza 246) le specie sicuramente nidificanti nel nostro Paese. A queste si aggiungono diverse decine di specie svernanti, migratrici o cosiddette “accidentali” (cioè, che capitano raramente nel nostro Paese), per un totale complessivo di oltre 530 specie.
Un numero notevole, che testimonia dell’importanza naturalistica, anche per via dell’avifauna, che ha il nostro Paese.
Una prima importante distinzione da operare è quella relativa alle abitudini “geografiche” degli uccelli. Posto che gli uccelli non conoscono alcun confine politico o amministrativo – e proprio per questo l’efficacia di ogni azione di tutela si misura, il più delle volte, dall’essere coordinata a livello almeno europeo, possibilmente globale – è utile distinguere le specie in nidificanti , migratrici e svernanti .
Tra le prime si distinguono due gruppi di specie. Quelle che effettuano il proprio ciclo riproduttivo nel nostro Paese, per restarvi anche durante l’inverno (nel qual caso si parla di nidificanti e svernanti , ovvero di specie stanziali ), altre che invece dopo aver passato l’inverno in Africa nidificano nel nostro Paese e ripartono di nuovo con l’arrivo dell’autunno, per raggiungere i quartieri di svernamento di norma posti oltre il Mediterraneo, spesso nell’Africa subsahariana (nel qual caso si parla di nidificanti e, allo stesso tempo, migratori ).

Esistono poi specie che completano il proprio ciclo riproduttivo in Nord Europa, e raggiungono le nostre latitudini per trascorrere l’inverno (specie solo svernanti ), o altre specie che scelgono il nostro Paese semplicemente quale area di sosta durante il proprio viaggio della migrazione.
Per tutte queste categorie di uccelli l’Italia può giocare un ruolo fondamentale rispetto alla tutela delle singole popolazioni. A cominciare da quelle nidificanti: il periodo riproduttivo, infatti, rappresenta uno dei momenti più delicati nella vita delle specie. È in questa fase che fattori di disturbo o di alterazione ambientale anche minima possono causare danni seri, dall’insuccesso di un’intera covata fino a mettere a rischio intere popolazioni.
E poi ci sono gli habitat: impossibile parlare di uccelli senza descrivere i relativi habitat, le cui caratteristiche risultano indispensabili per il completamento del ciclo riproduttivo o – anche – per permettere il completamento del viaggio della migrazione (o del periodo di svernamento) riducendo al minimo la mortalità degli individui.
L’Italia, a questo proposito, ospita un’ampia varietà di tipologie ambientali, pari alla grande varietà di climi ed ecosistemi che caratterizza il territorio italiano. Ad esempio, nella Pianura Padana si trovano alcune tra le aree umide più importanti d’Europa per gli uccelli selvatici. Ma anche gli oltre 7.500 km di coste che caratterizzano la Penisola italiana e le due isole maggiori sono un ambiente importantissimo per alcune specie di uccelli dalle abitudini marine, che scelgono scogli e isolotti del Mediterraneo per la costruzione del nido.
L’Italia ha insomma un ruolo importantissimo, per le sue caratteristiche climatiche e ambientali, nella tutela degli uccelli selvatici, cui deve dedicare sempre maggiore attenzione, anche in quanto parte fondamentale di quel grande patrimonio mondiale di biodiversità per la cui difesa ci siamo impegnati ad agire bene e in fretta.
Gli uccelli selvatici sono un patrimonio prezioso e indisponibile dell’umanità. Sono di tutti ma nessuno ne può disporre a piacimento; anzi, è necessario impegnarsi concretamente, attraverso leggi, programmi, azioni, affinché essi siano tutelati e conservati nella maniera più adeguata.
È questo il principio generale cui la comunità internazionale è finalmente giunta, dopo una lunga storia in cui, per gli animali selvatici e la natura in genere, una protezione non c’è stata o non è stata sufficiente.
Con l’esplosione della crisi ambientale e la conseguente diffusione della cultura ecologista e di sempre più approfondite attività di ricerca, il quadro complessivo è mutato e una nuova strada di attenzione verso la natura è strada intrapresa.
Varie convenzioni internazionali (Washington 1975 sul commercio delle specie in via di estinzione; Bonn 1979 sulla fauna migratrice; Berna 1979, sulla conservazione di specie e habitat; Rio de Janeiro 1992, sulla biodiversità) e due direttive comunitarie (la Uccelli selvatici del 1979 e la Habitat del 1992) hanno definito la prospettiva entro cui, i vari Stati nazionali, devono operare per garantire quelle misure necessarie affinché la diversità biologica possa essere conservata per il presente e il futuro, e con essa gli habitat naturali, i siti, i paesaggi, le specie viventi.
Tra cui, naturalmente, gli uccelli selvatici.
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